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Quando il bullo è un adulto: il lato nascosto del potere

Dalle aule di scuola alle mura di casa, il bullismo degli adulti resta un tabù culturale

di Giuseppe Sciarra

Quando si parla di bullismo, la mente corre quasi automaticamente alle aule scolastiche e ai cortili: ragazzi e adolescenti che si accaniscono contro i loro coetanei. Ma esiste una forma di bullismo più subdola e spesso taciuta: quella esercitata dagli adulti.

Il bullismo che viene dall’alto

Non è raro che dietro episodi di sofferenza giovanile si nascondano comportamenti vessatori da parte di figure adulte: insegnanti, genitori, educatori. Eppure, se ne parla poco. Molti ragazzi, poi diventati adulti, hanno confessato di essere stati bullizzati da un insegnante. Le motivazioni? Le più disparate: l’etnia, l’orientamento sessuale, il ceto sociale.
Non tutti coloro che ricoprono ruoli educativi sono in grado di sostenerli con la responsabilità e la sensibilità necessarie. L’insegnante dovrebbe essere una guida, una figura autorevole capace di esercitare la propria autorità in modo equo e giusto.
Quando questo equilibrio si spezza, il potere si trasforma in abuso.

Quando il genitore diventa il carnefice

Il bullo adulto può anche abitare dentro le mura di casa. Non è infrequente che un genitore, spinto da aspettative distorte o da un’idea idealizzata del figlio, finisca per esercitare una forma di bullismo domestico.
Durante un progetto realizzato con la Regione Lazio sul tema del bullismo, più di un ragazzo mi ha confidato di sentirsi vittima proprio del proprio genitore. Punizioni umilianti, percosse, parole distruttive, paragoni continui con altri: atteggiamenti che nulla hanno di educativo e che lasciano ferite profonde.

Il silenzio complice

Alla base di tutto questo c’è un problema culturale: il bullismo è ancora, in parte, giustificato. Spesso i bulli vengono difesi da chi dovrebbe fermarli: genitori, insegnanti, persino dirigenti scolastici. Emblematico è il caso, salito di recente alle cronache, di Paolo Mendico. I genitori avevano segnalato più volte alla scuola episodi di bullismo subiti dal figlio. Le richieste d’aiuto sono rimaste inascoltate, fino a quando le ispezioni del ministero hanno confermato ciò che i genitori denunciavano: la scuola sapeva, ma ha scelto di non intervenire.
In alcune chat tra genitori, il padre di Paolo ha persino tentato un dialogo diretto con i genitori dei bulli, senza ottenere risposta o vedendo da questi ultimi una minimizzazione del problema.

Sminuire il problema è parte del problema

Il bullismo non è solo l’atto violento in sé, ma anche la rete di omertà che lo circonda tra adulti.
Una mia amica, madre di una bambina di sette anni, mi ha raccontato di aver scoperto episodi di bullismo nella classe della figlia, dove alcuni maschi prendevano di mira le compagne. Quando i genitori delle bambine hanno segnalato la situazione, la reazione è stata la solita: negazione, minimizzazione, difesa dei propri figli. È così che il bullismo prolifera: nel silenzio e nella giustificazione.

Reagire, non tacere

Alla mia amica ho consigliato di reagire, di pretendere l’intervento della scuola e, se necessario, di ricorrere alle vie legali se la situazione dovesse degenerare. Oggi serve il coraggio di difendere i propri figli “con le unghie e con i denti”.
Ma la risposta non può essere solo individuale: serve una scuola che assuma un ruolo centrale nella prevenzione.
Sarebbero necessari ispettori esterni che, periodicamente, monitorino la presenza di episodi di bullismo, più psicologi scolastici e, persino, sanzioni per i genitori dei bulli recidivi.
Inoltre, bisognerebbe prevedere corsi obbligatori sul bullismo e sul cyberbullismo per gli insegnanti e, soprattutto, per i genitori, che sono spesso una delle cause, se non la causa principale, del problema.

Un problema culturale, non solo educativo

Il bullismo è un male antico, radicato nella mentalità del “più forte che prevale sul più debole”. Per estirparla serviranno generazioni, ma dobbiamo cominciare ora. Perché di bullismo si muore. Troppi ragazzi e ragazze hanno perso la vita per colpa di violenze psicologiche e fisiche, spesso ignorate o sottovalutate.
Chi subisce bullismo non è debole: è forte. Forte perché resiste ogni giorno a un dolore invisibile, forte perché sopporta in silenzio, forte perché chiede aiuto. Il suicidio, in questi casi, non è un gesto di fragilità, ma una tragica liberazione da un inferno quotidiano. I veri fragili, invece, sono i bulli.

È da qui che deve partire il cambiamento: dal ribaltare questa narrazione distorta. Prevaricare sugli altri non è segno di forza, ma di viltà. E una società che ancora difende i bulli o li giustifica è una società che ha perso il senso dell’umanità.