San Clemente, la “lasagna” archeologica che racconta 2000 anni di Roma
Dalla Roma imperiale al Medioevo: tre livelli di storia che si leggono solo scendendo
di Eddy Stefani
A Roma c’è un luogo dove la storia non si legge: si scende. È la Basilica di San Clemente, è un sito artistico e archeologico che ci conduce in diverse fasi storiche, attraverso le sue numerose unità stratigrafiche.
La Basilica prende il nome da Clemente I, quarto pontefice, dopo Pietro, Lino e Anacleto nonché il primo ad abdicare a causa delle persecuzioni contro i cristiani inflitte dall’imperatore Traiano.
Le ragioni che lo condussero all’esilio in terra di Crimea furono legate ai miracoli di Clemente, primo fra tutti la conversione di 425 cortigiani dell’imperatore. Nonostante l’esilio, anche gli indigeni ottennero eventi prodigiosi dovuti a Clemente e, in pronta risposta, oltre 2000 persone si convertirono al cristianesimo. Traiano iracondo non gli lasciò più scampo: ordinò il martirio del Papa per annegamento negli abissi del Mar Nero con un’ancora legata al collo.
Otto secoli dopo (868 d.C.), i fratelli Metodio e Cirillo, durante la loro evangelizzazione in quelle terre, rinvennero i resti di un corpo con un’ancora al collo, attribuito a Clemente. Le reliquie furono poi trasferite a Roma.
Ed è qui che si ha la prima sorpresa: non si tratta della Basilica visibile oggi in superficie, che funge da ingresso a questo unicum archeologico, ma di quella eretta precedentemente e che poi divenne la base di sostegno alla basilica superiore. Una vera e propria lasagna storico/artistico. La Basilica superiore, quella moderna, fu edificata nel XII secolo e rimaneggiata più volte, come spesso accade (si devono sempre considerare incendi, terremoti, inondazioni, saccheggi, incuranza, obsolescenza). Per costruirla, le fondamenta erano già presenti! Si approfittò infatti di ciò che rimaneva di una preesistente basilica medievale.
Le testimonianze letterarie hanno fatto supporre agli studiosi paleocristiani che in questo edificio avvennero le prime riunioni di culto cristiano che lo hanno fatto individuare come titulus Clementi.
Anche la Basilica medievale subì numerose modifiche nel tempo, ricostruendola parzialmente, decorandola con aggiunta di colonne marmoree, con il rafforzamento del nartece ma soprattutto con affreschi non solo mozzafiato, ma di estrema portata storica e letteraria.
Tra gli affreschi spicca la scena del miracolo della conversione del prefetto Sisinnio, datata tra il 1084 e il 1100. È qui che compare, per la prima volta, il volgare italiano scritto con un intento artistico. Una sorta di primordiale “fumetto”: dalle bocche dei personaggi escono battute che rivelano la loro provenienza sociale. Clemente parla un latino elevato, mentre i servi del prefetto si esprimono in un linguaggio popolare e persino sboccato. Una testimonianza preziosa del passaggio dal latino alla lingua del popolo. Questo affresco marca il passaggio fra ciò che si parlava prima e ciò che si parlerà dopo.
San Clemente è pure il luogo in cui riposa San Cirillo, che oltre a portare qui le reliquie di Clemente, creò l’alfabeto glagolitico e poi il cirillico.
Più si scende, più si va a ritroso nel tempo. La Basilica non è solo una chiesa, ma un manuale aperto di storia romana, dalle case imperiali ai primi cristiani, dal latino al volgare, dal paganesimo al culto mitraico. Un luogo unico, in cui ogni livello è un salto indietro nel tempo.
