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Intervista ad Alfredo Troise: L’arte è un nutrimento dell’anima e guarisce da ogni forma di male”

di Eddy Stefani e Patrizia Miracco

Il colore come forma di resistenza, l’arte come atto necessario. Alfredo Troise è l’artista che ha trasformato il margine in centro, la fragilità in linguaggio. Pittore e poeta, ha recentemente esposto in Campidoglio con la mostra “L’Occhio dell’Artista – L’Arte contro i Pregiudizi”. Lo abbiamo incontrato per una conversazione intima, in cui l’arte si svela come vita, e la vita come arte.

Alfredo, le tue opere sembrano voler parlare prima al cuore che agli occhi. È una scelta o una necessità?
È una necessità. Non mi interessa decorare, voglio colpire. Voglio che chi guarda le mie opere senta qualcosa, anche se scomodo. Le emozioni sono materia viva, e la pittura è la mia forma di sopravvivenza. Il cuore arriva prima della mente, e l’arte, per me, deve arrivare lì.

Hai dichiarato che dipingi il pregiudizio. Ma da dove nasce questo gesto così diretto, così viscerale?
Dalla fatica di essere guardato male. Dalla sensazione di essere “troppo” o “sbagliato”. Da piccolo ero osservato come un problema. Non con odio, ma con un linguaggio che fosse mio. Così ho iniziato a dipingere.

La sindrome di Tourette è spesso rappresentata con superficialità. Tu, invece, la trasformi in espressione artistica. Come ci riesci?
I tic sono movimento, energia. Non li contengo, li canalizzo. C’è un gesto pittorico anche in quel tremore improvviso, in quel respiro spezzato. Non la combatto, l’ascolto. Fa parte della mia voce, e la mia arte sarebbe muta senza di lei.

“L’Occhio dell’Artista” è il titolo della mostra in Campidoglio. Ma qual è il tuo “occhio”? Come guardi tu la realtà?
Vedo le crepe nei muri, e ci infilo dentro il colore. Vedo il pregiudizio, ma anche il suo contrario: lo stupore. Il mio occhio non è oggettivo, è interiore. E mi va bene così.

In che modo la poesia entra nei tuoi quadri?
Entra dove il pennello non arriva. La mia poesia è libera, non ha metrica. È istinto, come la pittura. Uso la parola per colpire, per squarciare il silenzio. Come dico spesso: quando non riesco a dipingere, scrivo. Quando non riesco a scrivere, dipingo.

Il tuo impegno sociale ti ha portato in contesti difficili: carceri minorili, bambini in difficoltà. Che valore ha per te l’arte in quei luoghi?
Immenso. Lì l’arte è salvezza. L’arte non è solo nei musei. Sta nei luoghi feriti. E lì ha ancora più senso.

Cosa dovrebbe fare, secondo te, il mondo dell’arte per diventare davvero inclusivo?
Aprirsi alle voci non canoniche. L’arte vera è quella che nasce dalla necessità, non dal mercato. Se dai spazio a chi ha qualcosa da dire, e non solo a chi sa come venderlo, allora l’arte cambia. E con lei la società.

Alfredo Troise è un artista che non racconta il dolore ma che lo trasforma.
I suoi quadri non consolano, ma liberano. In un tempo che cerca normalità, Alfredo ci mostra quanto può essere potente, e profondamente umana, la differenza.