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Il mostro di Firenze (e i suoi tanti mostri)

Sollima rilegge il Mostro di Firenze raccontando l’Italia che non vuole guardarsi allo specchio

di Giuseppe Sciarra

Confrontarsi con una delle pagine più oscure e sanguinose dell’Italia del dopoguerra non è mai impresa semplice. La vicenda del Mostro di Firenze, ancora oggi avvolta da una fitta nebbia di misteri e depistaggi, affonda le sue radici in un’epoca di tensioni profonde: gli anni di Piombo, il sequestro Moro, le stragi, il sospetto come condizione quotidiana. È in questo terreno minato che Stefano Sollima decide di addentrarsi con la miniserie Il mostro, quattro episodi disponibile su Netflix.

Sollima non insegue l’ennesima ricostruzione giudiziaria, ma preferisce restituire il clima storico e umano e storico di quei vent’anni maledetti, dal 1968 — anno del primo delitto attribuito al serial killer — fino al 1985. La sua indagine non è tanto un tentativo di ricostruzione giudiziaria, quanto un’immersione a corpo morto in un’Italia sospesa tra modernità e arretratezza, tra desiderio di cambiamento e mentalità immobili.

La serie si concentra sulla cosiddetta “pista sarda”, un mosaico di figure inquietanti, uomini emigrati dalla Sardegna alla Toscana e inghiottiti da un contesto sociale ostile, brutale. La fotografia è impeccabile, cupa ma mai compiaciuta; la regia, soprattutto negli ultimi episodi, stringe i personaggi — e lo spettatore — in una spirale di angoscia difficile da scrollarsi di dosso.
Spicca un sorprendente Valentino Mannias, nei panni di Salvatore Citti, uno dei presunti “mostri” della vicenda.

Il tema centrale, tuttavia, è la donna. La donna denigrata,  abusata, silenziata, vittima di una mentalità patriarcale torbida, cieca, feroce.

Sollima usa il “mostro” come prisma per far emergere ciò che l’Italia — e non solo quella di allora — ha sempre faticato a guardare.

Molto si è scritto su Il mostro, nel bene e nel male. A nostro avviso la serie convince proprio perché non cerca di piacere: è sincera, coraggiosa, quasi catartica nel tentativo di “lavare i panni sporchi” della mentalità italiana portandoli sullo schermo. E’ una denuncia che parla al presente: identità di genere, narcisismo maschile, violenza domestica, femminicidi. Temi che bruciano, e che Sollima affronta senza retorica.

Forse i detrattori dovrebbero chiedersi perché un’opera così scomoda abbia avuto un impatto tanto ampio, invece di indulgere nell’abitudine di demolire i propri artisti. Sollima, in fondo, ha fatto ciò che dovrebbe fare un autore: ha raccontato con rigore e coraggio.

Per chi non l’avesse ancora vista, Il mostro è soprattutto un viaggio negli inferi della mentalità più tossica e radicata del nostro Paese.
Un viaggio necessario, perché il “mostro” non vive solo nei colpevoli riconosciuti o presunti. È annidato nelle pieghe di una cultura che troppo a lungo ha giustificato, tollerato, normalizzato soprusi su uomini e donne. E continua a generare mostruosità.

Una serie che graffia. E che, soprattutto, non si dimentica.


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