HIV: biomarcatori rivelano i pazienti che possono sospendere le cure
Progredisce la ricerca contro l’HIV, identificati biomarcatori che indicano la possibilità di sospendere le terapie nei pazienti trattati precocemente
di Ludovica Zurzolo
La collaborazione tra l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, l’Università di Roma “Tor Vergata” e il Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston ha segnato un significativo progresso nella lotta contro l’HIV. I ricercatori hanno evidenziato la possibilità di mantenere il virus in uno stato quasi inattivo, dimostrando una notevole capacità di controllo dell’infezione.
Lo studio ha coinvolto un gruppo di adolescenti e giovani adulti nati con l’HIV, sottoposti a terapia antiretrovirale precoce e continuativa per circa 20 anni. Sono stati identificati biomarcatori (indicatori biologici correlati alla presenza, progressione o risposta a una determinata malattia o trattamento) associati a una bassa concentrazione del virus HIV nell’organismo. L’analisi approfondita del sistema immunitario è stata possibile grazie alla leucoaferesi, procedura che permette di separare e raccogliere i linfociti. In questi pazienti i provirus intatti (forme attive e replicanti del virus) risultano praticamente assenti, mentre le cellule natural killer (NK, importanti nella distruzione delle cellule tumorali o infette da virus) sono ancora altamente funzionali anche a distanza di anni. La rilevanza clinica di questo risultato risiede nella possibilità di individuare i pazienti per i quali sia possibile sospendere la terapia antiretrovirale.
“Ad oggi, non disponiamo di criteri clinici chiari per decidere in quali pazienti, pur sotto controllo virologico da anni, si possa valutare una sospensione della terapia” spiega il prof. Paolo Palma, responsabile di Immunologia Clinica del Bambino Gesù. “Questo studio – prosegue Palma – contribuisce a colmare tale lacuna, fornendo strumenti scientifici utili per selezionare in maniera sicura, personalizzata e monitorata i candidati a una sospensione terapeutica”.
È importante individuare anche la localizzazione del virus residuo, in quanto la terapia precoce potrebbe spingere il virus verso zone silenti e meno pericolose del genoma umano. Infatti, esistono casi in cui l’HIV risiede in aree geneticamente inattive, dove le possibilità di replicarsi risultano minime.
Secondo il prof. Nicola Cotugno, docente di Pediatria all’Università di Roma Tor Vergata, “I risultati suggeriscono che un trattamento iniziato molto precocemente possa modulare profondamente il sistema immunitario, rendendolo capace di controllare il virus anche in assenza di terapia attiva”.
Lo studio segna un ulteriore passo avanti nella comprensione dei meccanismi che regolano il controllo a lungo termine dell’HIV. Questa scoperta favorisce lo sviluppo di terapie personalizzate in grado di ridurre l’assunzione di farmaci in pazienti selezionati.
