Fibromialgia: quando il cervello amplifica il dolore
Un viaggio tra le evidenze neuroscientifiche che stanno trasformando la percezione di questa condizione
di Gloria Gammarino
Per anni la fibromialgia è stata un mistero, difficile da diagnosticare e spesso poco compreso persino dai clinici. I pazienti, pur vivendo stanchezza e dolore diffuso, sono stati etichettati come malati immaginari. Oggi, però, grazie alle neuroscienze, la fibromialgia è una condizione reale e misurabile, le sue radici non si trovano nei muscoli o nelle articolazioni, ma nel modo in cui il cervello elabora e regola il dolore.
Uno studio del 2014 ha osservato un’attività anomala nelle reti cerebrali coinvolte nella percezione del dolore. Anche a riposo, alcune aree risultano più collegate e più attive rispetto a quelle di soggetti sani. Gli autori parlano di una “maggiore connettività nelle regioni sensoriali e nella network del dolore”, suggerendo che il cervello delle persone con fibromialgia mantenga una sorta di allerta costante. È come se, anche in assenza di stimoli reali, il sistema fosse pronto a reagire come se ci fosse un dolore imminente. Questo fenomeno spiega perché segnali deboli o innocui possano essere percepiti in modo amplificato, portando il paziente ad annullare la sua completa esistenza.
La ricerca successiva ha confermato questa visione. Uno studio del 2022 ha analizzato la chimica interna del cervello. I ricercatori hanno rilevato un aumento del glutammato, un neurotrasmettitore che facilita l’attivazione neuronale, e una riduzione del GABA, che normalmente agisce come freno inibitore. “L’alterato equilibrio eccitazione/inibizione contribuisce alla sensibilizzazione centrale” sottolineano i ricercatori. Ciò significa che il cervello riceve più segnali eccitatori del normale e meno segnali inibitori. Quando il sistema si sbilancia in questo modo, diventa più sensibile, più reattivo e meno capace di modulare la percezione degli stimoli, soprattutto quelli dolorosi: è come guidare un’auto con l’acceleratore bloccato e i freni consumati.
Ancora più recente è lo studio del 2023, che analizza la struttura cerebrale stessa. Gli autori hanno individuato variazioni nella materia grigia, con alcune regioni leggermente ingrandite e altre ridotte. Tali differenze non indicano un danno, bensì un adattamento. Ma in che modo? Il cervello, esposto per lunghi periodi a stimoli dolorosi o a uno stato costante di ipersensibilità, tende a rimodellarsi. Si parla così di “una condizione neurobiologica complessa”, le modifiche osservate non sono casuali, ma coerenti con ciò che ci si aspetterebbe in presenza di dolore cronico e persistente.
Mettendo insieme i risultati di queste ricerche, emerge un’immagine chiara: la fibromialgia è una condizione neurologica complessa, in cui il sistema nervoso centrale amplifica gli stimoli. Non si tratta di un disturbo psicologico né di una reazione emotiva: si tratta di un modo diverso in cui il sistema nervoso centrale elabora il dolore.
La fibromialgia, dunque, non è un mistero irrisolto. È una condizione che coinvolge sistemi profondi di elaborazione del dolore. Le neuroscienze non hanno ancora tutte le risposte, ma stanno mostrando con crescente chiarezza che il dolore percepito da chi ne soffre è reale, spiegabile e, soprattutto, modulabile. E questo rappresenta un passo decisivo verso una comprensione più umana, più scientifica e più rispettosa di chi convive ogni giorno con questa condizione.
In poche parole, la fibromialgia non è “nella testa”, ma nel modo in cui il cervello gestisce i segnali del dolore, che risultano amplificati.
