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Bullismo: le ferite che non si vedono

Silenzi che uccidono: la testimonianza del regista Giuseppe Sciarra sul caso Paolo Mendico

di Giuseppe Sciarra

Il tragico suicidio di Paolo Mendico, 14 anni, ha riacceso l’attenzione su un fenomeno che continua a colpire nel silenzio: il bullismo. Il regista Giuseppe Sciarra offre una riflessione profonda e personale, raccontando il suo vissuto per dare voce a chi non riesce più a parlare, sottolineando che Paolo “Non era fragile, era solo lasciato solo”.

“La vista della disperazione nei volti dei genitori di Paolo Mendico un ragazzino di 14 anni che si è tolto la vita impiccandosi in camera sua dopo essere stato vittima di bullismo — mi ha commosso. Quel dolore lacerante ha riaperto una ferita che porto dentro da sempre: so cosa significa vivere nel terrore e nella vergogna quotidiana. Parlo in prima persona perché sono stato vittima di bullismo per gran parte dell’infanzia e adolescenza.

Da bambino sono stato preso di mira per sette anni: insulti omofobi, minacce, aggressioni e umiliazioni quotidiane. Quel lungo “martirio” ha lentamente consumato le mie energie vitali e la mia voglia di andare avanti. Amavo vivere, divertirmi e stare con gli altri come chiunque a quell’età ma i bulli mi perseguitarono a tal punto che ero arrivato a non uscire più di casa per paure che mi facessero del male. Alla mia famiglia non ne parlavo perché mi vergognavo di essere additato come gay e non volevo deludere mio padre: sentivo tutto il peso delle sue aspettative su di me, unico figlio maschio, e questo aumentava ancora di più la vergogna e il senso di fallimento.

In me iniziò a farsi avanti l’idea che non valessi granché, che quei ragazzi avessero ragione. Avevo gran parte dei miei coetanei contro, senza appigli, senza qualcuno a cui chiedere aiuto o di cui potermi fidare. Ero, e mi sentivo, completamente solo. Provo rabbia quando sento adulti che colpevolizzano la vittima perché «non sa difendersi». Se hai un intero gruppo contro di te, sei gentile, sensibile e incapace di adottare quei comportamenti aggressivi e vili che la massa spesso premia, come puoi farcela da solo? Ci vuole una grande forza ad affrontare la violenza reiterata di altri ragazzi. Chi subisce bullismo dimostra una resilienza enorme, ma anche quella forza straordinaria, prima o poi, può venir meno, come è successo a Paolo che ha lottato fino all’ultimo contro quei soprusi.

Quando mi trasferii a Foggia, speravo in un nuovo inizio. Invece fui subito preso di mira: un gruppo di ragazzi e ragazze mi insultava, rideva di me con una crudeltà feroce che mi faceva sentire senza via di scampo dal bullismo. Sopraffatto dalla vergogna e dalla disperazione, presi un mix di farmaci nel bagno di casa, deciso a porre fine alla mia vita. Per caso mia sorella mi trovò e chiamò i nostri genitori: fui portato in ospedale dove mi salvarono con una lavanda gastrica. Ricordo ancora la paura e il dolore nei volti di mio padre e mia madre quando mi videro lì su un lettino di ospedale — secondo i medici se fossi arrivato cinque minuti dopo sarei morto. Quell’esperienza estrema a cui non sarei dovuto arrivare è diventata il punto di partenza per ricostruire la mia vita e mi ha spinto a parlare con i miei di quello che mi era successo per anni.

Paolo aveva chiesto aiuto ai suoi genitori, che non sono rimasti in silenzio: si sono rivolti agli insegnanti, ma i risultati non sono stati soddisfacenti. Anzi, secondo alcune testimonianze, pare che alcuni docenti abbiano addirittura contribuito a deriderlo e maltrattarlo, senza approfondire davvero la gravità della situazione. Un’ipotesi che, purtroppo, non sorprende. Da ragazzo mi è capitato di assistere a episodi simili, in cui alcuni insegnanti non solo non difendevano la vittima, ma arrivavano persino a colpevolizzarla, spostando l’attenzione dal carnefice a chi subiva. Forse per superficialità, forse per paura di affrontare un problema complesso, resta il fatto che a volte i ragazzi più sensibili vengono lasciati soli come se la loro grande sensibilità desse fastidio anche agli adulti.

Con la Regione Lazio, per un anno, ho incontrato centinaia di studenti delle scuole superiori, parlando apertamente di bullismo. Mi sono confrontato non solo con ragazzi e ragazze vittime di soprusi, ma anche con chi si è trovato dall’altra parte, nei panni del bullo, oltre che con i loro insegnanti. Da questi incontri è emersa con forza una verità che considero fondamentale: tra adolescenti e adulti manca spesso il dialogo. I ragazzi, nella maggior parte dei casi, non si fidano dei genitori e non si aprono con loro. Parallelamente, molti genitori non hanno gli strumenti per affrontare queste situazioni.

Si parla molto di programmi di prevenzione rivolti agli studenti, ma io sono convinto che dovrebbero diventare obbligatori anche per i genitori e per gli insegnanti. Perché il bullismo non riguarda solo i ragazzi: riguarda il mondo adulto nel suo complesso, le responsabilità educative e i modelli che vengono trasmessi. In alcuni casi, infatti, ho raccolto testimonianze di bulli che a loro volta subivano violenze o umiliazioni in famiglia. Questo non giustifica i loro comportamenti, ma li inserisce in un circolo vizioso che deve essere interrotto.

Per questo dico che il fenomeno è molto più complesso di quanto si immagini e va affrontato in maniera massiccia, con il sostegno di esperti e psicologi, non soltanto nelle scuole ma anche all’interno delle famiglie. Non possiamo permettere che ci siano altri Paolo o altri Andrea Spezzacatena. Le leggi contro il bullismo e il cyberbullismo sono importanti e hanno segnato passi avanti, ma non bastano. Come nel caso della lotta al femminicidio, è la cultura a dover cambiare: solo riconoscendo la portata ampia delle responsabilità potremo davvero prevenire nuove tragedie. Paolo ha perso la vita non perché era fragile ma perché non ce la faceva più a vivere quel calvario. Era completamente abbandonato a se stesso. La sua morte è un suicidio indotto da un sistema che non l’ha protetto e che non l’ha fatto sentire accolto né amato. Non può restare impunita e non deve essere dimenticata”.